Quando hai 15 anni il viaggio è una scoperta, è un’avventura ma hai sempre quella sensazione di protezione che ti viene trasmessa di più grandi: dal babbo che ti spiega perchè il motore dell’aereo fa un particolare rumore, mentre te hai l’aria perplessa guardando dall’oblò i flap che si muovono, dalla prof che in gita sa ma finge di non sapere perchè dopo venti anni di gite è ben consapevole che una classe del Liceo Linguistico composta da quasi tutte femmine, fa tanto fumo ma poco arrosto, dalla nonna che ti porta al mare d’estate e che è sempre disposta a chiudere un occhio se una sera torni più tardi del previsto, sempre perchè si fida di te e sa che se dormi un’ora meno di notte, dormirai sul lettino in spiaggia la mattina dopo (sempre se ti presenti al mare prima del tramonto!).
Quella volta, non c’erano genitori, nonni o prof. Quella volta ero da sola, con un anno in più e una valigia bella grande che conteneva vestiti estivi. Era il 20 di dicembre, persi gli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze, altrimenti non sarei rimasta abbastanza là. Altrimenti non avrei fatto in tempo a riprendermi dal lungo, lunghissimo volo che divide l’Italia con quel paese.
L’estate precedente, ad agosto era venuta in Italia la zia Marisa. La zia Marisa era una signora paffutella, con i capelli bianchi come il borotalco, con il sorriso simpatico che partiva dagli occhi. Era partita da casa, all’età di 27 anni perchè al marito avevano trovato lavoro, nella terra di molto molto lontano. Là era il sogno, là era la speranza, là era il futuro che in Italia sembrava difficile. Là però era anche l’ignoto. Nonostante la zia avesse raggiunto l’ottantina, continuava a tornare in Italia di tanto in tanto. Da sola o con la famiglia, non si faceva molti problemi. Prendeva l’aereo, le sue pillole per il sonno e partiva.
“Perchè non vai a trovare la zia Marisa a Natale?” – “Ma davvero posso andarci?” – “Certo, guardiamo i voli”. La zia Marisa era in realtà la zia di mia mamma, ma all’arrivo avrei trovato figlie e nipoti che mi avrebbero fatto scoprire qualcosa in più del loro paese. C’era però da prendere un lunghissssimo aereo da sola (che detto ora è facile, ma a 16 anni era emozionante!) e poi scorgere tra la folla degli arrivi, il viso sorridente della zia. All’aeroporto di Roma venni “consegnata” ad una hostess che fece in modo di farmi saltare la fila e quindi entrai sull’aereo per prima. Era della Singapore Airlines, mi colpirono subito il profumo di pulito che si percepiva e i colori dei sedili che si alternavano nelle file. Il primo volo faceva scalo a Singapore, dove restai per 6 ore. Mi ricordo il silenzio e le scale mobili orizzontali. Il secondo volo mi portava a destinazione, la zia Marisa mi aspettava a Sydney.
Fu molto bello trascorrere quelle ore da sola in aereo perchè fu un piccolo passo per diventare grande. La prima volta in cui dovevo per forza parlare inglese o non avrei bevuto/mangiato/scambiato due parole per circa 23 ore. La prima volta che viaggiavo da sola. La prima volta che me la dovevo cavare.
Mamme e babbi, se ne avete la possibilità non abbiate paura e fate partire i vostri ragazzi. Spediteli da amici che abitano in un remoto paesino dell’Alabama, da parenti che vivono in Quebec o dal vostro collega che invece si è trasferito ad Hong Kong. Gli farete un favore, gli farete bene.