(seconda parte) Ci rendiamo conto della natura vera degli animali, della loro imprevedibilità e del lato “vero” del Safari, l’ultimo giorno in Zimbabwe.
Dopo aver trascorso tre notti in Sud Africa, ci siamo trasferiti in Zimbabwe, alla scoperta delle Cascate Vittoria e di un paese molto diverso da quello precedentemente visitato. Pelle color cioccolato fondente, grandi sorrisi e un’accoglienza che ti faceva sentire a casa, in ogni momento della giornata. Persone gentili e semplici che dormivano in capanne di argilla ma che al mattino si trasformavano in camerieri, in cuochi, in guide pronte a soddisfare ogni necessità. Sono rimasta stupita quando ho scoperto che la manager del lodge era sì bianca, ma nata e cresciuta in Zimbabwe. Certo, lo Zimbabwe, chiamato precedentemente South Rodhesia, è stato fino al 1980, colonia inglese e quindi una piccola minoranza bianca, è tuttora presente.
Abbiamo visitato le Cascate Vittoria e trascorso una giornata nel parco Chobe, in Botswana, ma di questo vi parlerò nei prossimi giorni. Quello che voglio raccontarvi oggi, sperando di trasmettervi le sensazioni provate, riguarda lo Zambesi National Park, parco dove siamo stati negli ultimi due giorni di viaggio. Come vi avevo raccontato prima di partire, abbiamo scelto di trascorrere due notti in tenda e di fare un safari in canoa, nel fiume Zambesi così, alle 9 del mattino, eravamo all’entrata del parco. Siamo noi due, Mangezo, la guida, poi l’autista, il meccanico, il cuoco e l’aiutante. Oh che ci fanno 5 persone solo per noi due? (la sera capiremo tutto!). Entrando nel parco, notiamo subito come non siano presenti le recinzioni esterne e la guida ci racconta che per questo motivo, capita spesso che si trovino elefanti nei giardini di case in città, attirati dalle piante di mango o di banane che loro amano particolarmente. S’inizia bene!
Notiamo subito che non ci sono altre auto con noi, l’unica strada che possiamo percorrere è sterrata e agibile solo per forti mezzi, come il nostro. E’ un furgone aperto, che Ale definisce un ex carroarmato: oltre a noi ci sono 5 tende, 2 canoe, 4 pagaie, brandine, materassi, pentole per cucinare, lenzuola, caffè e latte, cose buone da mangiare e tanta allegria. Ci vuole circa un’ora per raggiungere il punto in cui inizieremo il tour in canoa e di animali se ne vedono pochissimi. Mangezo, ci spiega che la mancanza di recinzioni permette agli animali di girare liberi, anche di attraversare il fiume e diventare così parte dello Zambia. Io sono un po’ dispiaciuta e mi stupisco che non si riesca a vedere neanche un elefante. Le ultime parole famose.
La giornata in canoa è divertente, seppur impegnativa mentalmente, trascorre fin troppo velocemente e avrò modo di darvi i dettagli in un post a parte. Al tramonto arriviamo al campeggio montato per l’occasione e trascorriamo la prima notte sotto le stelle. In lontananza si sentono gli ippopotami, ma la stanchezza prende il sopravvento e dormiamo tranquilli per tutta la notte. Sveglia all’alba, il cielo è coperto da molte nuvole e ci impedisce di fare il giro in canoa previsto. Senza sole, fa freddo e la nostra inesperienza in canoa, ci aveva fatti bagnare completamente il giorno prima, quindi attendiamo attorno al fuoco e scopriamo tante magiche storie sulla cultura di questa popolazione. Alle 11 il gruppo inizia a smontare il campeggio (abbiamo poi deciso di dormire l’ultima notte in camera, non in tenda, visto il lungo viaggio di ritorno per l’Italia). Partiamo così per un game imprevisto.
a 700 metri dal camp che avevano montato per noi, troviamo un numeroso gruppo di elefanti, visti anche la sera precedente. Saranno stati una quarantina, alcuni vicini alla sponda del fiume, altri, verso l’interno, intenti a mangiare. La strada che stavamo percorrendo divideva il gruppo in due, ma lasciando ampio margine a tutti per muoversi in uno spazio davvero enorme. Come d’abitudine, ci siamo fermati e l’autista ha spento il motore, per non dare fastidio agli animali. Erano maestosi, maschi e femmine, adulti, adolescenti e piccolini. Scattiamo foto e Ale inizia e fare l’ennesimo video. Uno degli elefanti, inizia a guardarci, tra uno spuntino e l’altro dalla pianta che si trova davanti a noi. Noi siamo curiosi, ma sempre rispettosi di questi animali dall’udito particolarmente potente, parliamo sottovoce, certi che, in caso di pericolo, ripartiamo rapidamente. L’elefante continua a fissarci e si avvicina aprendo le grandi orecchie, per intimidirci. Nel momento in cui continua ad avvicinarsi e ci barrisce davanti, gli altri elefanti percepiscono il rumore e si incuriosiscono. Mangezo, seduto davanti a noi batte sul tettino della cabina dove l’autista guida per invitarlo a partire. Ci dice che l’elefante è infastidito dalla nostra presenza, ci troviamo nel mezzo al branco ed è meglio andarsene. Eh si, penso io, meglio andare, e di corsa!
Mooooooonnnnnnnn mmmmmooooooooonnnn mmmmmooooooonnnn
Avete presente quando mettete in moto un mezzo, ma lui non ne vuol sapere di partire? Ecco, stava succedendo. L’elefante era ancor più infastidito dal rumore del motore che non si voleva accendere, quindi decidono di spegnere il motore e attendere che l’elefante si distragga un attimo. Passa qualche minuto, riproviamo, ma niente. I ragazzi aprono la cabina del camioncino, per controllare il problema. Tutti loro sorridono e hanno gli occhi sul motore, io e Ale teniamo sott’occhio gli elefanti leggermente terrorizzati… sdrammatizziamo il momento con video e foto e infine Mangezo e gli altri scendono e spingono il mezzo. Bastano pochi metri e poi, magicamente, si mette in moto. Loro con una grande risata corrono dietro e salgono al volo.
Tiriamo un sospiro di sollievo, nonostante i battiti siano ancora molto alti, pericolo scampato.
Pensate che la giornata sia finita qui? Assolutamente no!
Il bello deve ancora venire!
Oggi vi scrivo cosa è successo poco dopo!
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